A Casteggio, in provincia di Pavia, è stata recentemente inaugurata la prima comunità socio-rieducativa sperimentale in Italia dedicata ai giovani autori di reato con disagi psichici e problemi di dipendenza.
Questa comunità, gestita da Recovery For Life all’interno di un progetto del Ministero della Giustizia e Regione Lombardia, si propone come un ambiente di recupero e risocializzazione attraverso un percorso terapeutico integrato. L’obiettivo fondamentale è offrire a questi giovani una seconda opportunità, coniugando l’esecuzione della pena con interventi di supporto psicologico, trattamento delle dipendenze, educazione alla legalità e diverse attività riabilitative.
In questa intervista, la Dott.ssa Daniela Labattaglia, Coordinatrice della residenza, ci illustra il progetto e l’approccio multidisciplinare adottato dall’équipe di professionisti che accompagnerà i ragazzi in questo percorso di recupero.
Può spiegarci come è nato questo progetto dedicato ai minori autori di reato e quali sono i principali obiettivi?
Daniela Labattaglia: Questo progetto è nato per rispondere all’esigenza di cura e riabilitazione di minori con disagio psichico e disturbi da uso di sostanze, che sono in carico sia ai servizi sanitari sociosanitari che al Centro di Giustizia Minorile. È un progetto sperimentale, finanziato dalla Regione Lombardia e dal Ministero della Giustizia, grazie al quale i minori possono ricevere cure per i loro disagi psichici, evitando il più possibile l’ingresso in istituti penali minorili, preferendo inserire i ragazzi in contesti riabilitativi. L’obiettivo principale è fornire interventi che rispondano alle loro necessità di cura, mettendo la riabilitazione al centro del percorso.
Che approccio adottate nella presa in carico dei minori all’interno della struttura?
Daniela Labattaglia: Il metodo Recovery for Life è un approccio multidisciplinare che coinvolge un team di professionisti altamente specializzati, tra cui neuropsichiatri, psicoterapeuti, educatori, criminologi, infermieri, antropologi, assistenti sociali e maestri d’arte, impegnati nelle attività di laboratorio. Ogni percorso terapeutico viene progettato in modo personalizzato, tenendo conto delle esigenze specifiche di ciascun ragazzo. Inoltre, abbiamo avviato un progetto di ricerca con il dipartimento di antropologia dell’Università di Bologna, finalizzato a studiare in profondità i contesti culturali di provenienza dei ragazzi.
Come gestirete l’equilibrio tra responsabilizzazione e non colpevolizzazione del minore?
Daniela Labattaglia: Oltre all’antropologo, nella nostra equipe sono presenti anche criminologi. Quindi, accanto all’intervento riabilitativo, lavoriamo sulla presa di consapevolezza del reato. La revisione critica consiste proprio nell’acquisire consapevolezza e quindi nell’attribuire responsabilità su quanto è stato commesso e sul danno arrecato. Questo avviene senza minimizzare l’azione delittuosa o deviante, favorendo al contempo percorsi di riparazione del danno.
Quando si compie un reato, si crea una frattura con la società. Gli atti di riparazione non devono essere necessariamente rivolti alla vittima. Faccio un esempio: in caso di furto, il ragazzo potrebbe aiutare o confrontarsi con un commerciante che lavora tutto il giorno in una tabaccheria, ascoltando la sua storia. Questo permette di comprendere cosa c’è dietro la vita di quella persona e quale tipo di danno si è causato con l’atto deviante. L’obiettivo è anche quello di favorire una maggiore consapevolezza e comprensione del disvalore di ciò che è stato commesso.
Quale approccio adotterete rispetto alle etichette con questi giovani?
Daniela Labattaglia: Gli adolescenti di cui ci occupiamo, nella fascia d’età 14-21 anni, si trovano in un momento cruciale per la costruzione della propria identità e personalità. Il comportamento deviante può essere semplicemente un sintomo di una particolare condizione di disagio.
Quando consideriamo questi giovani non come “delinquenti” o “autori di reato”, ma come persone che hanno avuto un momentaneo inciampo nella devianza, diventa possibile aiutarli a cambiare la traiettoria della propria vita. Etichettare in modo negativo un ragazzo di 14 anni può avere conseguenze estremamente pesanti sul suo sviluppo.
Allo stesso tempo, è importante aiutare i ragazzi a non minimizzare ciò che è accaduto, considerandolo solo una bravata. Dobbiamo fornire loro gli strumenti per comprendere la differenza tra ciò che è consentito e ciò che costituisce reato a livello giuridico. Per questo motivo, organizziamo anche laboratori specifici di educazione alla legalità, con l’obiettivo di dare loro le competenze necessarie per evitare percorsi devianti o lo sviluppo di comportamenti antisociali.
Come prevedete di gestire le problematiche legate all’uso e abuso di sostanze stupefacenti?
Daniela Labattaglia: Effettivamente tra i ragazzi che seguiamo, ci sono alcuni che hanno iniziato a fare uso di sostanze. In questi casi, è possibile intervenire anche attraverso un approccio educativo, spiegando loro come queste sostanze agiscono a livello cerebrale. Organizziamo gruppi di psicoeducazione specifici che illustrano in modo chiaro e scientifico le conseguenze a cui si va incontro quando si utilizzano determinate sostanze. Questo permette ai ragazzi di comprendere meglio i rischi reali associati all’uso di droghe, andando oltre i semplici divieti.
Quale ruolo prevedete per le famiglie nel percorso di riabilitazione?
Daniela Labattaglia: Il modello Recovery for Life mette al centro anche la famiglia, poiché riteniamo che possa diventare un fattore di protezione e di aiuto nel percorso di vita del ragazzo. Pertanto, le visite familiari sono permesse, salvo provvedimenti specifici da parte del magistrato in caso di situazioni che richiedano limitazioni. Lavoriamo anche con le famiglie per offrire loro momenti di comprensione e supporto, affinché possano essere parte attiva nel processo di riabilitazione.
Come si svolge una giornata tipo per i ragazzi?
Daniela Labattaglia: Le attività standard, quindi la giornata tipo con sveglia e messa a letto, sono uguali per tutti. Abbiamo orari definiti per le attività che aiutano a ristabilire il ritmo sonno-veglia e dare ordine alla giornata: sveglia, colazione, momenti dedicati alla pulizia degli spazi personali e comuni, proprio in un’ottica di riabilitazione. Insegniamo a prendersi cura del posto in cui si vive, nel rispetto di sé stessi e degli altri. Per quanto riguarda le attività, proponiamo laboratori espressivi e creativi di gruppo, ma ciascun ospite segue anche un progetto personalizzato basato sui propri bisogni specifici. Il primo mese è dedicato all’assessment, che include una valutazione psicologica e psicodiagnostica. Sulla base di quanto emerge, gli interventi vengono indirizzati rispettando l’individualità di ciascun paziente.
Quale spazio viene dato alla formazione scolastica all’interno del percorso riabilitativo?
Daniela Labattaglia: Il recupero scolastico può essere uno degli obiettivi da raggiungere. Bisogna considerare che questi sono ragazzi in misura cautelare alternativa al carcere, con prescrizioni e autorizzazioni specifiche dal magistrato. Gli obiettivi principali sono la riabilitazione, la risocializzazione e il reinserimento sociale. In alcuni casi, il percorso può includere il recupero scolastico, mentre in altri potrebbe essere più appropriato un inserimento lavorativo, se si comprende che la scuola non rappresenta il percorso più adatto per quel ragazzo.
In che modo la struttura riesce a essere accogliente per i ragazzi pur garantendo la sicurezza necessaria?
Daniela Labattaglia: È importante sottolineare che il nostro modello non prevede strutture chiuse “a mo’ di carcere”. Certamente esistono delle accortezze da protocollo sanitario e bisogna fare attenzione, ma l’obiettivo è creare un ambiente meno restrittivo rispetto a quello carcerario. I ragazzi hanno degli spazi esterni limitati, un piccolo cortile delimitato con un accesso controllato. Inoltre permettiamo ai ragazzi di personalizzare il proprio spazio. Sono adolescenti, quindi possono decorare la loro stanza in maniera appropriata con foto, poster e oggetti personali. Questa personalizzazione diventa un modo per far sentire i ragazzi accolti all’interno del proprio spazio, evitando quell’ambiente asettico che potrebbe ricordare ospedali o istituzioni. In questo modo, la stanza diventa realmente la loro, diventa casa loro, creando un senso di appartenenza che favorisce il percorso di recupero. Riteniamo fondamentale aiutare il ragazzo a trovare all’interno della struttura qualcosa che valga la pena, che li motivi a lavorare su sé stessi.
Come sta procedendo l’avvio della comunità e quali sono le sue prime impressioni?
Daniela Labattaglia: Sta andando bene, al momento abbiamo accolto due ospiti. La struttura ha aperto da pochi giorni e stiamo valutando ulteriori candidature, poiché disponiamo di nove posti complessivi e intendiamo creare un gruppo equilibrato tra i pazienti. Stiamo ricevendo numerose richieste dalle UONPIA (Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza n.d.r.) della Regione Lombardia, che ci segnalano ragazzi con problematiche psichiatriche che hanno commesso reati. Essendo la prima comunità di questo tipo aperta in Italia, c’è una notevole domanda per offrire una collocazione adeguata a questi giovani che finora hanno trovato posto solamente negli istituti penali minorili. Il processo di inserimento prevede incontri di rete con tutti gli attori coinvolti durante i quali valutiamo l’idoneità del ragazzo, la patologia, ma anche la compatibilità con il gruppo di pazienti già presenti. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante perché questi ragazzi condividono gli spazi 24 ore su 24, quindi cerchiamo di creare un clima quanto più possibile favorevole all’integrazione e al recupero.
Che speranze avete per i prossimi mesi?
Daniela Labattaglia: Sicuramente di creare un gruppo di nove ragazzi e di fornir loro tutti gli strumenti necessari per poter favorire un autentico reinserimento sociale. Vogliamo offrire una speranza a questi giovani che sono “inciampati” in un percorso deviante. Abbiamo un’équipe con tanto entusiasmo e voglia di aiutare questi ragazzi. Mettiamo a disposizione non solo professionalità, ma anche umanità, che ritengo sia uno degli aspetti più preziosi e fondamentali del nostro lavoro. Essendo la prima comunità in Italia ad attuare questo tipo di progetto, ci auguriamo che questo modello possa diffondersi maggiormente, poiché esiste un bisogno concreto. Sono numerosi i giovani che si trovano in situazioni difficili: commettono reati, finiscono nel sistema carcerario, ma spesso non sono compatibili con quell’ambiente. E a quel punto, dove possono andare? Finora non esistevano strutture adeguate, ed è proprio per rispondere a questa esigenza che nascono realtà come la nostra: alternative di cura più appropriate. Questi ragazzi hanno personalità ancora in formazione, fragili e immature, ma proprio per questo c’è la possibilità di costruire insieme a loro qualcosa di positivo e significativo per il loro futuro.