Un nuovo approccio al disagio giovanile

Sempre più ragazzi arrivano in pronto soccorso per crisi psichiatriche. Alcuni hanno solo nove anni. Non si tratta più di casi isolati o crisi passeggere. Oggi si registrano accessi per comportamenti autolesivi gravi, ideazione suicidaria e uso precoce di sostanze psicoattive, anche in età scolare.

In questo scenario, emerge una criticità trasversale: la fiducia è spesso compromessa a tal punto da rendere inefficace un approccio terapeutico convenzionale.
È da qui che prende forma il metodo Recovery for Life: una risposta concreta a questa emergenza, costruita attorno a un modello innovativo di presa in carico e cura, pensato per affrontare le difficoltà che colpiscono preadolescenti e adolescenti.

Per capire meglio i fattori che stanno dietro al disagio giovanile, come isolamento, ansia, autolesione, e come si manifestano anche in età precoce, può essere utile leggere l’articolo “Disagio giovanile: in cosa consiste e cosa lo provoca” dell’Istituto Mario Negri, che analizza i segnali emergenti e le possibili strategie di prevenzione. 

L’importanza della diagnosi precoce

L’innovazione di Recovery for Life nasce da una convinzione precisa:  la diagnosi precoce, che ha trasformato l’oncologia, può rappresentare una svolta anche nella psicopatologia dell’età evolutiva. Come afferma Valentina Molinelli, coordinatrice clinica di Casteggio:

“Noi crediamo che sia proprio la diagnosi precoce, l’intervento precoce, a poter cambiare il corso di una condizione così complessa, diffusa e pericolosa.”

Un nuovo modo di valutare e capire il disagio

Ma cosa significa, in concreto, diagnosi precoce secondo il modello Recovery for Life?
Non si tratta solo di anticipare i tempi, ma di ripensare profondamente il processo valutativo. L’assessment iniziale, che dura circa 30 giorni, non si limita a osservare i sintomi: mira a costruire insieme al minore e alla sua famiglia una narrazione condivisa di ciò che sta accadendo, su cui basare un intervento efficace. Un intervento che riconosce la complessità del vissuto, evitando approcci standardizzati.

Un esempio concreto del nostro approccio è il servizio PoTRAI di Recovery for Life, uno spazio dedicato a bambini, adolescenti e giovani adulti che offre prevenzione, ascolto e cura personalizzata: un modello di presa in carico rapida con équipe multiprofessionale, pensato per intervenire tempestivamente e sostenere il benessere dei giovani e delle loro famiglie, affrontando in modo efficace il disagio giovanile. Scopri di più su PoTRAI: prevenzione, ascolto e cura per i giovani.

La cura su misura

Uno degli elementi più caratterizzanti del modello Recovery for Life è il rifiuto della standardizzazione. Come sottolinea Molinelli:

“Linee guida e letteratura scientifica sono i binari su cui ci muoviamo, ma quando davanti a noi c’è una persona, devono essere adattate con la stessa cura con cui un sarto confeziona un abito su misura.”

Questo approccio si traduce in percorsi terapeutici personalizzati, in cui ogni intervento è pensato su misura per il ragazzo o la ragazza e per la sua famiglia.
Nessun protocollo rigido o soluzione preconfezionata: ogni storia porta con sé bisogni e vissuti che richiedono una risposta unica, costruita attraverso l’ascolto e una profonda comprensione della storia del giovane.

Per chi desidera approfondire come affrontare interventi clinico-riabilitativi con adolescenti in situazioni di emergenza, può essere utile seguire questo seminario su YouTube, che esplora il valore della riflessione e della pianificazione dopo un intervento tempestivo, per rendere i percorsi di cura più efficaci e sostenibili.

Competenze diverse per un unico obiettivo

L’innovazione di Recovery for Life non riguarda solo la personalizzazione del trattamento, ma anche l’organizzazione dell’équipe terapeutica. Ogni centro è composto da un gruppo multidisciplinare: psichiatri, psicoterapeuti, infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione, OSS, dietisti e, elemento distintivo, antropologi clinici. Ma ciò che rende davvero unico questo modello è l’orizzontalità del team.

In Recovery for Life, tutte le figure professionali coinvolte condividono pari dignità e peso decisionale nel costruire, insieme al ragazzo o alla ragazza, l’intero percorso terapeutico.
Una parità che non si limita alla forma, ma che si traduce nella pratica quotidiana: ogni membro dell’équipe contribuisce con le proprie competenze alla comprensione del caso, senza gerarchie che possano limitare l’efficacia del lavoro clinico. È proprio questa logica di collaborazione paritaria a rendere possibile una presa in carico integrata, dinamica e realmente centrata sulla persona.

L’antropologia clinica: comprendere i linguaggi del disagio

Viviamo in una società multiforme, attraversata da differenze culturali, valoriali e religiose. In questo contesto, l’integrazione dell’antropologia clinica nel lavoro d’équipe rappresenta uno dei tratti più originali di Recovery for Life.

Dalla musica trap a TikTok, dal dark web ai videogiochi: questi, per alcuni ragazzi, possono diventare strumenti per esprimere e dare forma al disagio. A volte, sono gli unici codici che hanno a disposizione per raccontare la loro sofferenza. Proprio per questo, l’équipe è chiamata a mantenere un approccio aperto e curioso, evitando giudizi o semplificazioni.

L’antropologo clinico svolge un ruolo proprio nell’aiutare i professionisti a decodificare questi linguaggi, rendendo possibile una comprensione più profonda del vissuto del ragazzo e costruendo interventi che partano davvero dal suo mondo.

Cura aperta: dal centro terapeutico alla comunità

Un altro caposaldo del modello Recovery for Life è la filosofia di cura aperta, in netta contrapposizione con i modelli tradizionali più contenitivi e medicalizzati. L’obiettivo è favorire il reinserimento dei giovani nella comunità e nel territorio di appartenenza, evitando il rischio di isolamento e cronicizzazione che può derivare da ricoveri prolungati e ambienti troppo chiusi. Per costruire un vero processo di cura, è necessario mantenere il legame con la realtà sociale del paziente e stimolare fin da subito l’autonomia e la partecipazione attiva.

La presa in carico si estende oltre le mura del servizio, fare rete è parte del metodo. Servizi invianti, Comune, tribunale, medico di base, scuola, allenatori, datori di lavoro: tutti possono contribuire alla continuità e coerenza del percorso.

Alla base di tutto c’è un approccio curioso e rispettoso dell’unicità del minore, che mira a mantenere vivo quel legame di fiducia – con il ragazzo e con il suo contesto – senza il quale ogni percorso rischia di fallire.

Più che un modello: una risposta culturale

In un momento storico in cui il disagio psichico giovanile sembra sfuggire agli approcci tradizionali, Recovery for Life dimostra che un’alternativa è possibile. Un approccio fondato sull’ascolto autentico, sulla continuità della presa in carico e su una cura costruita insieme, che riconosce la complessità senza semplificarla.
Più che una promessa, è una realtà già attiva, che mostra come con gli strumenti giusti e una visione condivisa, la guarigione è una possibilità concreta.

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