Identità e disagio psicologico nell’adolescenza

Intervista alla Dr.ssa Viola D’Onofrio 

Intervista alla Dr.ssa Viola D’Onofrio 

L’identità è un percorso in continua evoluzione, che si costruisce lungo tutto l’arco della vita ma conosce momenti particolarmente delicati durante l’adolescenza. Per approfondire le sfide che i giovani affrontano in questa fase cruciale e i supporti a loro disposizione, abbiamo intervistato la Dr.ssa Viola D’Onofrio, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica (TERP) presso la Comunità di Casteggio di Recovery for Life. La sua esperienza quotidiana nel supportare gli adolescenti ci offre una prospettiva preziosa sulle dinamiche di formazione dell’identità e sul ruolo dell’ambiente familiare e sociale in questo delicato processo.

Dr.ssa D’Onofrio, quali sono le principali tappe nella formazione dell’identità di una persona?

L’identità è un processo dinamico e complesso che dura tutto l’arco della vita, dall’infanzia fino alla terza età. Tuttavia, l’infanzia e l’adolescenza sono momenti fondamentali. Sin dall’infanzia le persone sono tenute a completare quelli che Eriksson definisce i compiti evolutivi: sono queste piccole sfide il cui superamento ci infonde sicurezza, fiducia e indipendenza. 

Durante la prima infanzia si pongono le basi dell’identità attraverso l’attaccamento ai genitori. Poi negli anni successivi si inizia a scoprire sé stessi come degli individui a sé rispetto ai genitori. Nella fanciullezza si sviluppano le competenze sociali e si interiorizzano i valori familiari e culturali, quindi c’è un inizio di costruzione identitaria. 

L’adolescenza è il momento più importante: si esplorano diverse identità e si mettono in discussione i valori che sono stati appresi dalla famiglia, quindi si tenta di costruire una propria identità personale, sessuale e – verso la maggiore età – anche quella professionale. Durante l’adolescenza quindi c’è tutta quell’individuazione e definizione di obiettivi e di valori personali.

Quali sono le difficoltà che gli adolescenti possono incontrare durante la formazione della propria identità?

Quando gli adolescenti spostano il focus dalla famiglia al gruppo dei pari, si confrontano con nuove realtà che possono generare dubbi rispetto al proprio ruolo, i propri obiettivi e valori.

Il confronto con persone con background diversi può portare l’adolescente a mettere in discussione tutto ciò che prima era considerato normale, tutto l’assetto valoriale della propria vita. È molto importante il gruppo dei pari che l’adolescente sceglie, perché i valori che loro portano potrebbero essere molto diversi da quelli della famiglia e questo potrebbe poi portare a dei conflitti.

È normale che l’adolescente litighi con i genitori, ci sono spinte emancipatorie che te lo fanno fare, ma è anche necessario che l’ambiente familiare rimanga supportivo in questa fase delicata per evitare sentimenti di inadeguatezza, sfiducia in sé stessi e bassa autostima che avrebbero poi ripercussioni nel giovane adulto che andrà a formarsi.

Cosa può fare una famiglia quando il gruppo dei pari ha valori in netta contrapposizione con quelli familiari?

Qui si crea una situazione di vero e proprio scontro e la capacità della famiglia di aiutare il proprio figlio o la propria figlia dipende in gran parte dal tipo di attaccamento costruito nelle fasi precedenti dello sviluppo e se l’adolescente continua a considerare i genitori come figure di riferimento. Se prima dell’adolescenza non è stata costruita una base sicura di attaccamento, diventa molto più difficile per i genitori avere una presa sull’adolescente.

Tuttavia, se l’adolescente ha già interiorizzato in parte i valori familiari, potrebbe modificare temporaneamente i propri comportamenti per adattarsi al gruppo ma tendenzialmente tornerà a un equilibrio. La situazione diventa più complessa quando il giovane si riconosce molto di più nei valori del gruppo rispetto a quelli familiari.

In particolare, se questi nuovi “valori” scaturiscono in comportamenti antisociali, aggressivi o comunque disfunzionali, diventa necessario un intervento professionale con una presa in carico specifica del caso.

Quando le difficoltà legate alla formazione dell’identità possono evolvere in un disagio psicologico?

L’ambiente in cui il bambino prima e l’adolescente poi cresce gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo psicologico. Oltre al tipo di attaccamento che si forma nei primi due anni di vita, un ambiente invalidante può portare a delle difficoltà. Per “ambiente invalidante” non si intende necessariamente un contesto altamente disfunzionale, ma piuttosto un ambiente che non riconosce, sminuisce o ignora le emozioni del minore e non lo supporta adeguatamente nei suoi compiti evolutivi.

Quando il bambino affronta delle sfide e fallisce, la reazione dei genitori o dei caregiver è determinante: se l’ambiente è supportivo, il ragazzo svilupperà una buona autostima; al contrario un ambiente invalidante può contribuire all’insorgere di ansia, depressione e comportamenti autolesivi, specialmente in combinazione una vulnerabilità personale. 

Semplificando, se un bambino torna da scuola turbato per un brutto voto e la risposta del genitore è “non fa niente, chi se ne frega”, questo insegna al bambino che la sua emozione non è legittima. Per individui con maggiore vulnerabilità emotiva, questo tipo di risposta può avere conseguenze significative, portando a sviluppare comportamenti problematici nel tentativo di ottenere una validazione delle proprie emozioni, poiché il semplice esprimerle non è sufficiente se non vengono riconosciute.

L’identità di genere è una componente dell’identità di una persona. Che sfide affrontano i giovani rispetto a questo tema?

Se in una fase così delicata come quella della costruzione identitaria dell’adolescente si aggiunge anche una costruzione di una identità di genere diversa da quella del sesso assegnato alla nascita, allora le cose si complicano e possono emergere sentimenti di disagio e inadeguatezza. 

Il binarismo di genere imposto dalla società gioca un ruolo fondamentale in questo processo. Le persone, incluse quelle cisgender, subiscono la pressione di scegliere una strada molto marcata e definita tra la mascolinità e la femminilità.

Quando un adolescente, già in una fase vulnerabile, percepisce che la propria identità non si adatta a questi modelli prestabiliti, può sviluppare profondi sentimenti di inadeguatezza, che spesso sfociano in ansia, depressione e ritiro sociale.

A livello familiare, è necessario offrire comprensione e accettazione, creando almeno nel nucleo domestico uno spazio sicuro. 

È molto difficile modificare la società, però credo che sarebbe necessaria una destrutturazione di questo binarismo di genere. Questo processo è in parte già in atto, come dimostra l’evoluzione dei ruoli di genere rispetto al secolo scorso, ma dovrebbe estendersi anche alla concezione dell’identità di genere.

Questo potrebbe aiutare l’individuo a capire qual è il suo posto, a creare la sua identità, non sentendo la pressione di doversi uniformare da una parte o dall’altra. Paradossalmente, anche quando una persona accompagna un individuo transgender nel suo percorso di transizione, la pressione di completare un percorso definito, inclusa l’operazione di riassegnazione di genere, può rappresentare un altro modo di costringere la persona all’interno del sistema binario.

È necessario invece accettare una componente più fluida dell’identità di genere, che non deve essere considerata psicopatologica. Questo approccio permetterebbe agli individui di esplorare e costruire la propria identità senza la pressione di doversi conformare a categorie rigide.

L’orientamento sessuale rappresenta un’altra dimensione dell’identità. Quali difficoltà specifiche possono emergere in questo ambito?

Anche il riconoscimento della propria identità sessuale durante l’adolescenza può generare difficoltà, soprattutto se non conforme alle aspettative sociali. Rispetto all’identità di genere, oggi c’è forse una maggiore apertura verso orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità, ma solo perché questo processo di accettazione è iniziato prima.

È come se la società stesse facendo con l’identità di genere lo stesso percorso fatto vent’anni fa con l’orientamento sessuale.

Gli adolescenti di oggi sembrano più aperti su queste tematiche, in parte perché si sono create categorie definite e riconoscibili: omosessuale, bisessuale, eterosessuale. Quando qualcosa viene categorizzato e conosciuto, tende a spaventare meno.

La fluidità e l’indefinito creano invece più confusione e timore sociale. Nonostante questa maggiore accettazione, stigma e bullismo esistono ancora verso chi ha un orientamento sessuale non eteronormativo, sebbene forse in misura minore rispetto alle persone transgender.

Quali sono i segnali che indicano che un ragazzo o una ragazza potrebbero aver bisogno di un aiuto professionale?

Ci sono alcuni segnali che valgono per tutti gli adolescenti, ma che sono particolarmente importanti da monitorare quando è presente un disagio legato all’identità di genere: cambiamenti repentini di umore, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione, isolamento sociale, l’abbandono di attività, passioni o sport che il ragazzo svolgeva volentieri.

Questi sono tutti indicatori di un possibile disagio psichico, che può riguardare la propria identità o un disturbo d’ansia o depressione. Nei casi più gravi, possono emergere comportamenti autolesionistici o pensieri suicidari, ma l’obiettivo è intervenire prima che la situazione raggiunga questi livelli. Il consiglio ai genitori è di prestare particolare attenzione al ritiro sociale, ai disturbi del sonno e ai cambiamenti di umore, per quanto sia complesso interpretare le oscillazioni emotive tipiche dell’adolescenza.

Perché è importante una presa in carico precoce delle difficoltà legate all’identità?

L’intervento precoce è fondamentale in qualsiasi ambito della salute mentale, incluse le questioni legate all’identità di genere. Intervenire tempestivamente sui sintomi come ansia, depressione o difficoltà a trovare un senso identitario coerente può prevenire l’aggravarsi della situazione e fornire strumenti adeguati sia all’adolescente che ai genitori.

Spesso i genitori, nel tentativo di essere supportivi, si trovano ad accompagnare il figlio in un percorso che non comprendono pienamente. Un intervento professionale tempestivo può equipaggiare tutta la famiglia con le conoscenze e le strategie necessarie per affrontare la situazione. L’obiettivo principale è migliorare la qualità di vita e il benessere psicologico dell’adolescente, che potrebbero essere seriamente compromessi se i sintomi manifestati in questa fase non vengono adeguatamente gestiti.

Quali servizi e percorsi di supporto può offrire Recovery for Life alle famiglie con adolescenti che affrontano difficoltà legate all’identità?

Un primo livello di supporto sono i servizi ambulatoriali e i centri diurni dove è possibile ricevere una valutazione completa del quadro clinico attraverso colloqui con un’équipe multidisciplinare composta da neuropsichiatra, psicoterapeuta ed educatore o TERP. 

Questa valutazione permette di definire gli interventi più appropriati, come terapia di gruppo, terapia individuale, terapia familiare o un’eventuale terapia farmacologica valutata dal neuropsichiatra. In alcuni casi, possono essere previsti interventi domiciliari per valutare l’ambiente familiare e sanare eventuali conflitti. 

Per situazioni dove il quadro psicopatologico è già significativamente compromesso, può essere necessario il ricovero in una comunità terapeutica. Questo tipo di intervento è spesso successivo a un ricovero ospedaliero e rappresenta una soluzione per casi più complessi rispetto a quelli che possono essere gestiti in ambito ambulatoriale o in un centro diurno. Durante il periodo in comunità, viene svolto parallelamente un lavoro con i genitori, che può essere di “parent training” o di psicoeducazione. Quest’ultimo consiste nell’insegnare alla famiglia cosa comporta il disturbo nella pratica quotidiana e come reagire e agire nei confronti della persona in difficoltà. Questo lavoro continua idealmente anche dopo le dimissioni, quando l’adolescente torna a vivere con la famiglia, attraverso interventi domiciliari che permettono di affrontare le problematiche che emergono nella convivenza quotidiana.

Quali sono gli elementi per favorire un percorso di crescita positiva per i ragazzi e le ragazze?

Soprattutto in situazioni di disagio identitario, è fondamentale creare un ambiente supportivo che aiuti l’adolescente a raggiungere i propri obiettivi. Quando un giovane presenta un senso identitario frammentato, spesso manifesta anche bassa autostima, difficoltà a definire un chiaro sistema valoriale e problemi nelle relazioni sociali.

È importante che le persone significative nella vita dell’adolescente – genitori, caregiver, figure educative – lo aiutino a individuare obiettivi realistici e raggiungibili, supportandolo nella scoperta del ruolo che desidera assumere nella società. Parallelamente, è essenziale facilitare la costruzione di relazioni significative che possano restituire al giovane un senso generale di appartenenza e valore personale.

Questo è particolarmente importante perché l’esperienza ripetuta del fallimento può compromettere ulteriormente la capacità del ragazzo di sviluppare una visione positiva di sé e del proprio futuro. L’ambiente complessivo – famiglia, scuola, gruppo dei pari, educatori e altre figure che entrano nella vita dell’adolescente – dovrebbe quindi fungere da sostegno nel naturale processo di crescita.

Quando necessari, interventi più specificamente clinici vanno affidati ai professionisti della salute mentale. Ma in linea generale, gli elementi essenziali sono supporto, accoglienza e pazienza, evitando di affrettare le tappe – che si tratti di un percorso di transizione di genere o dell’identificazione di un ruolo sociale. L’obiettivo è fornire un aiuto pratico nelle piccole cose quotidiane, permettendo al giovane di ricostruire gradualmente un senso identitario sufficientemente solido per poter credere in un futuro positivo.

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